Perdonatemi se vi ho fatto attendere un po’ per pubblicare questa tappa, ma all’attività rambica i clienti sono tornati più tosti che mai. Che Strega fortunata che sono.
Facciamo un riassunto delle puntate precedenti, vi va?
Da Londra ho cominciato i lento viaggio verso ovest, toccando Oxford e Bath (qui), Wells, quella meraviglia assoluta di Glastonbury e Penzance (qui). Plymouth è diventata la sede delle mie notti stranamente afose, mentre la tappa prima di quella odierna mi ha portata a commuovermi davanti alla sterminata brughiera del Dartmoor e alla bellezza selvaggia di Tintagel (qui), ma sono arrivata solo alla metà del viaggio!

L’inizio della quarta tappa del mio tour della Cornovaglia ha visto l’ennesimo passaggio sul fiume Tamar e un percorso in pullman su stradine sterrate e a senso unico a una velocità che non vi sto a raccontare fino a Land’s End, il punto più a ovest dell’Inghilterra.

La scogliera è parte della penisola di Penwith, famosa per le sue miniere di stagno e rame, abitata fin dall’Età del Bronzo e luogo turistico da oltre tre secoli. Al di là del particolare stato d’animo con cui ve ne state lì, sul ciglio dell’oceano, a contemplare quella meravigliosa distesa blu, cercando di ignorare il parco a tema che è stato costruito un centinaio di metri alle vostre spalle, Land’s End è famosa anche per essere luogo di arturiana memoria.
Secondo una tradizione che va indietro fino al regno di Elisabetta I, infatti, gli isolotti rocciosi che spuntano di fronte alla scogliera sarebbero tutto ciò che rimane di Lyonesse, una terra mitica affondata tra i flutti un po’ come Atlantide e patria del bel Tristano. La perduta terra compare in numerose opere letterarie: in Idyllis of the King il buon poeta Tennyson la identifica come il sito dell’ultima battaglia tra Artù e Mordred, Tomas Hardy e Sylvia Plath la nominano nelle loro poesie, per non parlare di Sunk Lyonesse di Walter de la Mare (1922) e della serie di Pendragon di Jack Vance. Parlando di libri e di leggende arturiane, non posso esimermi dal citare il solito Bernard Cornwell; nel Romanzo di Excalibur Lyonesse è nominata molte volte da personaggi diversi, tra i quali anche la druida Nimue, che fantastica di andarci con Derfel… che subito dopo prende l’ennesima tramvata sui denti da parte della maga irlandese.

Goduto del vento e della magia di Land’s End, il viaggio proseguiva fino a St. Ives, una delle più importanti città della penisola di Penwyth, che prende il nome dalla leggenda che la vede punto di arrivo di San Ia di Cornovaglia dall’Irlanda. A piedi.
St. Ives è stata una cittadina di pescatori fino al 1877, quando la nuova ferrovia portò una schiera di turisti vittoriani che non vedevano l’ora di bearsi della bella spiaggia e prendere spunto dai dintorni per le loro opere di poesia e narrativa, come fece Virginia Woolf, che vi ambientò ben tre romanzi, incluso Gita al Faro (1927).
Poco distante da St. Ives c’è un altro luogo che non può lasciarvi indifferenti. Ci si arriva dalla città costiera di Marazion, nella Mount’s Bay, una lungua di granito lunga 68 chilometri e alta poco meno di 233 piedi sul canale della manica. Se arrivate quando la marea è bassa, potete fare la strada a piedi, percorrendo un lastricato vecchio di secoli, altrimenti non avete altra scelta che affidarvi alle barchette dei pescatori (2£ a tratta) per raggiungere l’affascinante St. Micheal’s Mount.

St. Micheal’s Mount è, come forse saprete, il doppio del francese Mont Saint-Michel, e in effetti furono proprio i monaci benedettini provenienti dall’isola evanescente della Normandia a istituire il monastero, quando Edoardo il Confessore fece loro dono dell’isola nell’XI secolo. La concessione ai monaci francesi fu poi revocata da Enrico V nel 1424 (in occasione di una guerra contro la Francia: che novità!) e data alla badessa di Syon.

Francese o inglese che sia, St. Micheal’s Mount è meta di pellegrinaggio dal 1200 e casa della famiglia St. Aubyn dal 1650. Prima dei baronetti, tra le cui fila contiamo anche l’autore della serie dei romanzi di Patrick Melrose, l’isola sembra essere stata la casa dell’Arcangelo Michele, che secondo il Lycidas di John Milton vi siede un un magnifico trono dorato e veglia sull’Inghilterra tutta, e, ancora prima dell’avvento del cristianesimo, di un feroce gigante alto 18 piedi chiamato Cormoran.

Questa forza della natura risiedeva tra i boschi di Karrek Loos Yn Koos e, per lasciare in pace gli abitanti dei dintorni, pretendeva il pagamento di un prezzo molto alto: il sacrificio di un giovinetto, figlio dei pastori dei dintorni. Tutti erano naturalmente atterriti dalla crudeltà (e dall’appetito) di Cormoran, finché il giovane Jack decise di ribellarsi. Si fece avanti come vittima sacrificale e grazie a uno stratagemma intrappolò il gigante in una stretto pozzo, dove gli mozzò la testa con un’ascia. Dalla storia di Jack, lo Sterminatore di Giganti deriva la più nota Jack e il Fagiolo Magico.
Ora lasciamo da parte miti e leggende e torniamo all’esplorazione dell’isolotto evanescente. Le barchette dei pescatori vi lasciano su un porticciolo di pietra che termina con un arco, attraversato il quale vi troverete di fronte alla prima – e la più agibile – delle scalinate che vi porteranno fino sulla cima di St. Micael’s Mount, dove potrete entrare nel castello dei St. Aubyn (10 £ per il castello, 15 £ per il castello e i giardini a strapiombo sul mare). La residenza nobiliare è una costruzione decisamente imponente, che, a picco sul mare, si ancora al granito dell’isola. Al suo interno è inglobata anche la cappella dedicata a San Michele Arcangelo, un piccolo gioiellino che profuma di passato e storie ormai dimenticate.
Non vi mentirò dicendovi che si tratta di un percorso accessibile a tutti, anzi, direi che è addirittura più faticoso di quello di Tintagel. Le pietre del sentiero sono umide della rugiada del boschetto e scivolose (non oso pensare che cosa siano quando piove!), il passaggio ha dei tratti molto ripidi e sconnessi e non sono presenti ringhiere o altri tipi di sostegno per reggersi. Si fa un po’ di fatica, quindi, ma la visita del castello vale veramente la pena e dalle sue terrazze si gode una vista meravigliosa, che spazia su tutta la baia.

Il percorso a ritroso, tra il sentiero disseminato dai resti di Cormoran e la traversata sulle barchette dei pescatori, con l’acqua fredda dell’oceano che vi schizza in viso, stroncherebbe chiunque alla fine di una giornata così, e in effetti non ricordo molto del viaggio di ritorno verso Plymouth, se non la mia stanza d’albergo, calda come l’avevo lasciata, che mi aspettava per l’ultima notte di soggiorno nella città portuale.
Che meraviglia 😀😀😀
❤
Ma che meraviglia! Un vero sogno! 🙂
Davvero!